Mentre il nuovo jazz americano si apre sempre più alla contaminazione fra generi, soprattutto hip hop ed elettronica, come ci insegnano i fantastici Robert Glasper e Kamasi Washington, la scena britannica non vuole certo essere da meno. D’altronde, i confini fra le diverse tribù sonore di Londra, cuore pulsante di un vivace melting pot musicale, sono sempre stati labili e variabili.
Solamente da Londra, e da nessun altro posto nel mondo, poteva venire il duo Yussef Kamaal, deciso a sporcare il raffinato jazz europeo con le vibrazioni ruvide, rumorose e gonfie di basse frequenze del sottobosco musicale della capitale inglese.
Black Focus, il nuovo album del tastierista e produttore Kamaal Williams (aka Henry Wu) e del batterista Yussef Dayes, entrambi nati nella South London, trae ispirazione dal funk-jazz degli anni Settanta e libera la loro voglia di sperimentazione. Il fulcro del progetto, concepito prima per essere una performance d’improvvisazione dal vivo, è il dialogo tra tastiere e batteria, nel quale s’inseriscono altri elementi, altri colori, altre possibilità di esplorazione nel tempo e nello spazio.
Le sessioni di registrazione in studio, mixate dal sapiente Malcom Catto degli Heliocentrics, sono dominate dal groove e dalla magnetica telepatia tra i due musicisti, che s’intendono a occhi chiusi per accordi e strutture ritmiche. Se l’Afrobeat è lo spirito guida di Black Focus, una forte inclinazione cosmica ci spinge a chiudere gli occhi e lasciarci trasportare altrove.
Al groove della title-track, che apre il disco, non si può resistere, mentre è “Yo Chavez” a mostrare il lato scuro e riflessivo di Yussef Kamaal: due estremi di un lavoro importante, che potrebbe ispirare tanti ascoltatori – e pure tanti jazzisti più convenzionali – a cercare qualcosa in più del familiare, a scoprire la vita oltre lo standard.
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