Vivere a Maastricht, Paesi Bassi, ma sognare un’isola tropicale del Sud-est asiatico… Così si sente la band olandese YĪN YĪN, volteggiante su una continua tensione tra suoni occidentali e orientali, surf rock e folclore giapponese, sintetizzatori kraut e chitarrine, soul e psichedelia, pop e disco.
Per dare forma sonora a questa inquietudine creativa, i quattro musicisti – Kees Berkers (batterista), Remy Scheren (bassista), Robbert Verwijlen (tastierista) ed Erik Bandt (chitarrista) – si sono chiusi in studio nella campagna belga, senza tanti contatti con l’esterno, viaggiando da un capo all’altro del mondo soltanto sull’onda delle loro idee musicali. Non è questo il bello della musica e dell’arte in generale? Ci porta dove vogliamo e persino dove nemmeno immaginiamo, anche restando fermi in un luogo.
Il risultato è Mount Matsu, un album caleidoscopico e prevalentemente strumentale, molto influenzato dalla psichedelia asiatica e dal funk estremo-orientale degli anni Sessanta e Settanta, con alcune canzoni occasionalmente impreziosite da soffuse armonie vocali, che aggiungono ancora più profondità alla loro espressione soul. L’intima relazione con il dancefloor si sente in alcuni brani irresistibili: non si può restare fermi con “Takahashi Timing”, “Pia Dance” e “Tokyo Disko”, il singolo vincente del disco. Davvero efficace anche “The Perseverance of Sano”, che sarebbe la perfetta colonna sonora di un film di Tarantino girato in Asia.
Tutto molto divertente, tutto confezionato bene, e i quattro sono anche simpatici.
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